Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione e del Merito, è intervenuto alla presentazione alla Camera della fondazione per Giulia Cecchettin, con un videomessaggio in cui ha detto che occorre “non far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da un’immigrazione illegale”. La litote pronunciata dal ministro rappresenta un intreccio gravissimo e ripugnante di gretto razzismo, opportunismo politico, becera ignoranza sul complesso fenomeno delle violenze di genere. Fenomeno di cui il ministro dimostra non solo di avere in testa poche e confuse idee, ma di cui si ricorda solo in prossimità della Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne, senza dare di fatto mai seguito alle parole di cui si riempie la bocca. Sono cadute infatti nel dimenticatoio le “linee guida per l’educazione alle relazioni”, la pallida iniziativa tanto decantata il 25 novembre dell’anno scorso che avrebbe dovuto portare a scuola, in forma volontaria e solo per il triennio delle scuole superiori, dei momenti di discussione e dibattito tra pari sul tema delle relazioni.

Quest’anno il ministro sceglie di continuare a parlare di violenza di genere nel modo peggiore possibile. Lo fa affermando che “il patriarcato è morto”, e che se c’è una visione ideologica “è quella che vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato”. Sono frasi che mettono in discussione la possibilità di smantellare la violenza dalla base, perché nascondono la pervasività e la strutturalità di un fenomeno che si insinua nelle pieghe della società, in ogni dimensione pubblica e privata. Ma non solo: Valditara sceglie nel suo intervento di parlare di violenza sfruttando il femminicidio di una ragazza da parte dell’ex compagno per cavalcare la propaganda contro le persone migranti che questo governo continua a perpetrare, tirando fuori dall’armadio, di fronte a violenti, stupratori e assassini che hanno molto spesso le chiavi di casa, lo stereotipo dello “stupratore nero”, che affonda le proprie radici direttamente negli Stati Uniti dello schiavismo e della segregazione razziale. 

Il femminicidio di Giulia Cecchettin è stato un colpo nello stomaco di un paese assuefatto alle continue notizie di violenze contro le donne e di violenze omolesbobitransfobiche. Un colpo che ha provocato l’alzarsi di un’onda, che si è unita alla marea femminista e transfemminista che ogni 25 novembre invade le strade chiedendo di combattere per sradicare la violenza alle radici. Un’onda rumorosa, che non può accettare parole del genere e che continuerà a lottare perché quello che è accaduto a Giulia non accada a nessunə più. 

 

Rete Educare alle Differenze

Il patriarcato di Valditara